Souloncology

Oltre la malattia

10 Aprile 2024
di intermedianews
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Fertilità: cresce la pratica del congelamento ovociti, in Italia +20% di procedure

Sono sempre di più in Italia le donne che decidono di procedere al congelamento degli ovociti per assicurarsi una chance di gravidanza in futuro, spesso posticipando la decisione di maternità per motivi di lavoro o sociali. E’ il cosiddetto fenomeno del ‘social freezing’, che nel nostro Paese ha fatto registrare un aumento di circa il 20% delle procedure dal 2021 al 2022. La preservazione della fertilità attraverso il congelamento degli ovociti femminili sta prendendo dunque sempre più piede in Europa, Italia compresa, e nel mondo, complici anche le dichiarazioni di personaggi famosi che hanno intrapreso questa strada, per motivi medici o per scelta personale. In media, le procedure in entrambi i casi sono aumentate del 25-30% all’anno dal 2016 secondo la Società americana per le tecnologie di riproduzione assistita (Sart) e la Società europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (Eshre), con punte al 46% e al 70% nel biennio 2020-2021 rispettivamente negli Usa e in Australia-Nuova Zelanda. A fotografare la situazione è un nuovo studio del gruppo italiano specializzato in medicina della riproduzione Genera, pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility. I dati del gruppo Genera relativi a 8 cliniche su tutto il territorio nazionale segnalano inoltre per l’Italia un aumento di circa il 20% anno su anno del numero di procedure di ‘social freezing’, il congelamento per motivi prettamente sociali. Nel nuovo studio si mette in evidenza quali sono le chance di ottenere una gravidanza, in un secondo momento, utilizzando gli ovociti prelevati.

“Nelle donne più giovani, quindi fino a 35 anni – spiega il primo autore del paper, Danilo Cimadomo, biologo molecolare e responsabile della Ricerca del gruppo Genera – le probabilità cumulative di nati sono comprese fra il 70% con 15 ovociti prelevati e congelati (considerato il numero ottimale) e il 95% con 25 ovociti. Ma ci sono comunque chance di gravidanza comprese tra il 30% e il 45% nel caso in cui vengano vitrificati 8-10 ovociti. Oltre la soglia dei 35 anni, il numero di ovociti necessari per raggiungere la gravidanza è chiaramente maggiore, rendendo la procedura di preservazione della fertilità più impegnativa. Per questo motivo, tutti i centri specializzati oggi consigliano alle donne di fare questa scelta, se ritenuta opportuna a seconda dei propri progetti di vita, entro i 35-37 anni, in modo da avere le migliori possibilità di riuscita se un giorno si dovranno utilizzare quegli ovociti congelati, nel caso insorgessero problemi nel tentare una gravidanza”. La Società Americana per la Medicina della Riproduzione (Asrm) ha rimosso l’etichetta di procedura sperimentale dalla vitrificazione degli ovociti nel 2013, spiega inoltre Laura Rienzi, embriologa e direttore scientifico del gruppo Genera, “e anche per questo motivo, la richiesta di procedure di preservazione della fertilità è aumentata sensibilmente in tutto il mondo”. La vitrificazione viene per lo più condotta manualmente, richiedendo quindi operatori ben formati, costantemente monitorati ed esperti. “Ecco perché – precisa Rienzi – l’automazione sta assumendo un ruolo sempre più importante nei nostri laboratori: le nuove tecnologie ci consentono di migliorare i risultati delle tecniche. La necessità di trattamenti di procreazione medicalmente assistita è in costante crescita in tutto il mondo. In parallelo i progressi tecnologici, come la valutazione dei gameti basata sull’intelligenza artificiale e l’automazione, promettono una sempre maggiore standardizzazione dei protocolli”. Anche grazie agli sforzi della scienza, la crioconservazione degli ovociti “quando scelta per motivi sociali, è un tema che sta stimolando il dibattito sociale e politico nel nostro Paese e confidiamo – conclude l’embriologa – che presto non sarà più percepita come un tabù, ma come uno strumento per salvaguardare l’autonomia riproduttiva delle donne”.

9 Aprile 2024
di intermedianews
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Sanità: comunicazione di aziende e ospedali bocciata dal 42% dei cittadini

Il 42% dei cittadini giudica insufficiente la qualità della comunicazione esterna degli ospedali e delle aziende sanitarie del nostro Paese. Sono persone che consultano siti, social e altri media ufficiali di queste strutture, alla ricerca d’informazioni sulla salute e non solo sulle prestazioni medico-sanitarie elargite. I testi on line sono però giudicati di non facile comprensione dal 23% degli utenti, il 37% non li ritiene esaustivi e per il 43% non vengono aggiornati regolarmente. Infatti nel 40% dei casi non sono state trovate tutte le informazioni desiderate. Inoltre oltre il 50% dei cittadini vorrebbe leggere sui siti più notizie sulle principali patologie, sulla prevenzione primaria di queste e più in generale sui comportamenti sani da adottare. Per quanto riguarda i social media si richiede una maggiore presenza della azienda attraverso la pubblicazione di contenuti soprattutto su Facebook (69%), You Tube (32%) e Instagram (29%). Il 51% non ha mai letto un comunicato stampa della propria azienda/ospedale e solo l’8% consulta regolarmente la newsletter dell’ospedale di riferimento. È quanto emerge da un’indagine promossa tra cittadini italiani e utenti di ospedali e aziende sanitarie. Rientra nel progetto “Comunicazione interna ed esterna nelle aziende sanitare: dall’ufficio stampa alla comunicazione digitale”. E’ promosso dal Commissario Straordinario dell’Azienda Sanitaria Locale Roma 1 Giuseppe Quintavalle in collaborazione con Rossana Berardi (Professore ordinario di Oncologia all’Università Politecnica delle Marche e Tesoriere Nazionale AIOM-Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Mauro Boldrini (Direttore della Comunicazione di AIOM). Si pone l’obiettivo di potenziare la comunicazione delle strutture sanitarie della nostra Penisola al fine di migliorare complessivamente il sistema sanitario nazionale. I risultati dell’indagine sono presentati oggi a Roma in una conferenza stampa insieme a quelli di una seconda survey. E’ stata svolta tra 35 rappresentanti di altrettanti Policlinici, Aziende Ospedaliere o Universitarie, IRCCS, AST o ASL attivi sull’intero territorio nazionale. Il 62% degli “addetti ai lavori” giudica molto positiva la comunicazione esterna della propria struttura sanitaria ma il 17% ammette di non avere un ufficio stampa interno. Il 48% sostiene di non possedere un piano editoriale preciso e il 51% non ha una procedura prestabilita per divulgare all’esterno le notizie. Solo il 26% afferma di poter usufruire di un vero social media manager per la gestione giornaliera dei vari profili Facebook, Instagram o You Tube.

“Con il nuovo progetto vogliamo incoraggiare il più possibile una migliore gestione della comunicazione della nostra sanità – sottolinea Giuseppe Quintavalle -. Ogni singolo ospedale, a prescindere dalle sue dimensioni, e ogni ASL possono svolgere un ruolo davvero importante nel favorire l’accesso e la circolazione d’informazioni corrette e certificate. La salute, la medicina e la sanità sono argomenti molto complessi e che riguardano l’intera società, non solo i pazienti e i loro caregiver. Il nostro sistema sanitario nazionale deve innovarsi anche sul versante della comunicazione. L’attività sui media digitali e quelli tradizionali vanno maggiormente curati e affidati a professionisti opportunamente formati”. A breve saranno pubblicate delle Raccomandazioni nazionali specifiche per le aziende sanitarie. “Le sta elaborando il nostro working group che ha riunito medici e giornalisti – prosegue Rossana Berardi -. Forniranno delle indicazioni precise e aiuteranno così le strutture sanitarie ad elaborare delle proprie ed efficaci strategie di comunicazione. Come hanno evidenziato le due indagini vi è l’esigenza e anche l’urgenza di una migliore collaborazione tra media e salute. Una comunicazione poco chiara può incentivare la diffusione di fake news e questo è abbastanza evidente in oncologia. Il cancro rappresenta un grande problema socio-sanitario con oltre 3 milioni di persone coinvolte solo in Italia. Anche grazie ad una corretta comunicazione possiamo sconfiggere le malattie oncologiche. Ed è anche con questo obiettivo che parte la seconda edizione del primo corso di perfezionamento universitario in “Comunicare il cancro, la medicina e la salute” promosso dall’Università Politecnica delle Marche. Sono disponibili 25 posti, si svolgerà in modalità ibrida con cadenza quindicinale e avrà una durata semestrale. Le lezioni inizieranno il prossimo 10 maggio mentre la scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione è il 15 aprile. Un team multidisciplinare di professionisti insegnerà ai partecipanti come affrontare l’informazione e la comunicazione sui temi della medicina e della salute, con particolare riguardo all’ambito oncologico”. “Proprio la pandemia ci ha insegnato quanto siano fondamentali anche le nuove forme di comunicazione digitale – aggiunge Mauro Boldrini -. Pensiamo, per esempio, alle dirette social oppure agli incontri da remoto che ci hanno accompagnato nei momenti più difficili del biennio 2020-2021. Eppure, dalla survey emerge come addirittura il 97% delle strutture sanitarie non abbia una propria Web TV. A volte risultano carenti anche i servizi più banali e che riguardano direttamente le funzioni primarie degli ospedali o delle ASL. Nel 14% dei casi dal sito web dell’azienda non è possibile scaricare o compilare direttamente on line della modulistica. Mentre ben il 33% degli utenti non ha mai prenotato on line una prestazione sanitaria. Resta ancora molta strada da percorrere, per una corretta comunicazione interna ed esterna, e tutti gli attori coinvolti devono fare la loro parte”.

“Si calcola che circa un terzo delle notizie sui tumori pubblicate sui social media sono false o imprecise da un punto di vista scientifico – afferma Elio Rosati, Segretario Regionale di Cittadinanzattiva Lazio -. Significa che milioni di persone, sull’intero territorio nazionale, rischiano di leggere e condividere fake news su un argomento molto delicato. Per “proteggere” i cittadini da questi pericoli serve una nuova alleanza tra i medici e i professionisti dell’informazione”. “Il personale sanitario deve imparare anche a comunicare correttamente con i media, i pazienti e anche il resto della comunità scientifica – conclude Antonio Magi, Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma -. Le nuove tecnologie possono aiutarci nel nostro lavoro e favorire contatti diretti ed immediati. Inoltre il web garantisce un facile ed immediato acceso a moltissime informazioni di carattere medico-sanitario. I medici devono svolgere un ruolo educativo fondamentale e indirizzare gli utenti verso fonti di notizie sicure e certificate”.

8 Aprile 2024
di intermedianews
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Obesità: appello esperti, “Accelerare su attività fisica in ricetta”

Lo sport come un farmaco, prescrivibile dal medico in ricetta, prestazione esigibile alla stregua di un Lea o Livello essenziale di assistenza. L’idea non è nuova: “C’è un progetto di legge su questo, sull’attività fisica come forma di prevenzione e trattamento trasversale a più patologie, ed è in discussione una proposta di legge mirata in modo specifico all’obesità, che include anche l’esercizio fisico. Ma ancora non si è arrivati a un’approvazione finale” e l’auspicio del mondo medico-scientifico è che si possa “accelerare l’iter legislativo in corso”. A farsi portavoce dell’appello è Luca Busetto, past president della Sio (Società italiana dell’obesità) e vice president dell’Easo (Società europea per lo studio dell’obesità) per la regione Sud. “Siamo completamente d’accordo sul concetto alla base di queste iniziative e ci auguriamo che vengano implementate al più presto”, dichiara lo specialista in occassione della Giornata mondiale dell’attività fisica del 6 aprile.

A differenza di una semplice raccomandazione a muoversi di più per contrastare i danni della sedentarietà pericolosamente diffusa anche tra i giovanissimi, una vera e propria prescrizione medica a fare sport “ne aumenterebbe la disponibilità – ragiona Busetto, Azienda ospedale-università di Padova – con la garanzia di un’equità maggiore nell’accesso a una pratica che è considerata uno dei pilastri del benessere e dello stato generale di salute”. In concreto, come funzionerebbe l’opzione ‘attività fisica in ricetta’? “Non sappiamo ancora se ci saranno pratiche rimborsate – risponde l’esperto – oppure se sia prevista, ad esempio, una deduzione fiscale delle spese sostenute per l’attività fisica qualora questa sia inserita in una prescrizione medica, per il trattamento o la prevenzione di una malattia. E’ ancora prematuro parlare di modalità. Ma dare la possibilità al cittadino, in particolare a quello che per ragioni di salute può beneficiarne di più, di avere un più facile accesso all’attività fisica anche dal punto di vista economico – ripete lo specialista – è sicuramente una cosa positiva”.

L’attività fisica, chiarisce Busetto, va considerata un ‘farmaco’ non solo contro i chili di troppo: “Il peso che ha l’attività fisica nella prevenzione e nel trattamento dell’obesità – precisa l’esperto – è lo stesso che ha nella prevenzione e nel trattamento di tutte le altre patologie croniche. Dal diabete all’ipertensione, dalle malattie cardiovascolari ad alcune forme di cancro”. Incentivare lo sport in ricetta potrebbe rappresentare un ‘vaccino’ e una medicina con più indicazioni. La speranza è che accada in fretta.

5 Aprile 2024
di intermedianews
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AIOM: “Pronti a collaborare con la nuova agenzia italiana del farmaco”

“Auguriamo buon lavoro alla nuova Agenzia Italiana del Farmaco e a Robert Giovanni Nisticò, neo Presidente dell’agenzia regolatoria. Le competenze e il bagaglio professionale del Prof. Nisticò, che ha già ricoperto ruoli rilevanti nel settore degli Affari regolatori dei farmaci, saranno sicuramente importanti per il SSN e, in particolare, per i pazienti colpiti dal cancro che hanno necessità di accedere a terapie efficaci in tempi brevi. Siamo pronti a collaborare in modo proficuo con la nuova AIFA, per garantire a tutti i pazienti la migliore assistenza”. Francesco Perrone, Presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), esprime soddisfazione per il completamento della riforma di AIFA, grazie alla nomina del nuovo Presidente. “Le sfide che l’agenzia regolatoria è chiamata ad affrontare nei prossimi mesi – spiega Francesco Perrone – sono molto difficili, dall’accesso rapido ed equo su tutto il territorio alle nuove terapie, alla sostenibilità del sistema sanitario”. “I tumori – continua il Presidente Perrone – stanno diventando sempre più patologie croniche grazie a farmaci efficaci che si aggiungono a chirurgia e radioterapia. Noi speriamo che vengano garantiti tempi ragionevolmente brevi per l’accesso alle nuove terapie e che venga rilanciata la ricerca indipendente, portando a completamento il bando pubblicato nello scorso aprile e indicendo nuovi bandi”. “Auguriamo buon lavoro anche al Direttore Scientifico Pierluigi Russo, che in questi anni ha manifestato attenzione ai temi legati all’oncologia e alle esigenze dei pazienti colpiti da tumore, e ai membri della nuova commissione unica scientifico-economica del farmaco – conclude il Presidente Perrone -, a partire dalla Prof.ssa Lara Nicoletta Angela Gitto”.

4 Aprile 2024
di intermedianews
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Nel mondo +6,2 anni di vita dal 1990, nonostante il Covid

L’aspettativa di vita globale è aumentata di 6,2 anni dal 1990. Ad alimentare questo progresso è stata la riduzione dei decessi dovuti a fattori quali diarrea e infezioni respiratorie, ictus e infarto. Quando la pandemia è arrivata nel 2020, tuttavia, ha fatto deragliare i progressi in molti luoghi. Lo rivela uno studio condotto da Liane Ong, presso l’Istituto per la Valutazione della Salute Globale (IHME). Pubblicato sulla rivista Lancet, è il primo studio che confronta i decessi dovuti al COVID con quelli per altre cause a livello globale. Nonostante le sfide presentate dalla pandemia, è emerso che la super-regione del Sud-est asiatico, dell’Asia orientale e dell’Oceania ha registrato il maggior aumento netto dell’aspettativa di vita tra il 1990 e il 2021 (8,3 anni), principalmente grazie alla riduzione della mortalità da malattie respiratorie croniche, ictus, infezioni respiratorie del tratto inferiore e cancro. Il Sud dell’Asia ha registrato il secondo maggior aumento netto dell’aspettativa di vita tra le super-regioni tra il 1990 e il 2021 (7,8 anni), principalmente grazie a forti cali nei decessi da malattie diarroiche. Dallo studio emerge anche che il COVID ha radicalmente modificato per la prima volta in 30 anni le prime cinque cause di morte, sostituendo un killer a lungo dominante, l’ictus, e diventando la seconda causa di morte a livello globale. Le super-regioni più colpite dalla pandemia sono l’America Latina e i Caraibi e l’Africa subsahariana, che nel 2021 hanno perso più anni di aspettativa di vita a causa del COVID.

Forti cali nei decessi da malattie enteriche – come diarrea e tifo – hanno aumentato l’aspettativa di vita a livello globale di 1,1 anni tra il 1990 e il 2021. Le riduzioni dei decessi da infezioni del tratto respiratorio inferiore hanno aggiunto 0,9 anni all’aspettativa di vita globale. Lo studio rivela minacce crescenti da malattie non trasmissibili, come diabete e malattie renali, che stanno aumentando in ogni paese. I ricercatori indicano anche progressi disomogenei contro condizioni come cardiopatia ischemica, ictus e cancro. “La comunità globale deve garantire che gli strumenti salvavita che hanno ridotto i decessi da cardiopatia ischemica, ictus e altre malattie nella maggior parte dei paesi ricchi siano disponibili anche dove le risorse sono limitate”, sostiene Eve Wool, coordinatrice dello studio e Senior Research Manager presso l’IHME.