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Oltre la malattia

15 Marzo 2024
di intermedianews
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ISS: stabile il numero di casi di sindromi simil-influenzali

E’ stabile il numero di casi di sindromi simil-influenzali (Ili) in Italia nella decima settimana del 2024, dal 4 al 10 marzo. L’incidenza è infatti pari a 6,3 casi per mille assistiti contro il 6,4 della settimana precedente. Particolarmente colpiti i bambini sotto i 5 anni di età in cui si osserva un livello di incidenza di 18,1 casi per mille assistiti contro il 19,4 precedente. Questo quanto emerge dal rapporto epidemiologico RespiVirNet, elaborato dal Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

La sorveglianza epidemiologica, coordinata dall’Iss in collaborazione con il ministero della Salute, si avvale del contributo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, dei referenti presso le Asl e le Regioni e dei laboratori di riferimento regionale per i virus respiratori. L’obiettivo è descrivere i casi di sindrome simil-influenzale, stimarne l’incidenza settimanale durante la stagione invernale, in modo da determinare l’inizio, la durata e l’intensità dell’epidemia. Nella decima settimana del 2024 in tutte le Regioni/Province Autonome italiane, tra quelle che hanno attivato la sorveglianza, il livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali è sopra la soglia basale (3,99 casi per mille assistiti) tranne il Molise e la Basilicata che raggiungono il livello basale. L’incidenza osservata in alcune regioni, nota peraltro il rapporto, è fortemente influenzata dal ristretto numero di medici e pediatri che hanno inviato, al momento, i loro dati. La popolazione degli assistiti in sorveglianza è mediamente pari a 2.064.738 assistiti per settimana, pari al 3,6% dell’intera popolazione italiana.

11 Marzo 2024
di intermedianews
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Covid, il virus può rimanere nell’organismo per oltre 1 anno

Il Covid può persistere nel sangue e nei tessuti dei pazienti per più di un anno dopo la fine della fase acuta della malattia, secondo una nuova ricerca della University of California San Francisco. Gli studiosi hanno trovato frammenti di Sars-CoV-2, denominati antigeni Covid, persistenti nel sangue fino a 14 mesi dopo l’infezione e per più di due anni in campioni di tessuto di persone colpite dal virus. I risultati sono stati presentati alla Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi), che si è tenuta dal 3 al 6 marzo 2024 a Denver.

All’inizio della pandemia, si pensava che il Covid-19 fosse una malattia transitoria. Ma un numero crescente di pazienti, anche quelli che in precedenza erano sani, hanno continuato ad avere sintomi come confusione mentale, problemi digestivi e problemi vascolari, per mesi o addirittura anni. I ricercatori hanno esaminato campioni di sangue di 171 persone che erano state infettate da Covid. Utilizzando un test ultrasensibile per la proteina Spike, che aiuta il virus a penetrare nelle cellule umane, hanno scoperto che il virus era ancora presente fino a 14 mesi dopo in alcune persone. Tra coloro che erano ricoverati in ospedale per Covid, la probabilità di rilevare gli antigeni era circa il doppio. Poiché si ritiene che il virus persista nei serbatoi dei tessuti, gli studiosi si sono rivolti poi alla Long Covid Tissue Bank, che contiene campioni donati da pazienti con e senza Long Covid.

Hanno rilevato porzioni di RNA virale fino a due anni dopo l’infezione, sebbene non vi fossero prove che le persone si fossero reinfettate. L’hanno trovato nel tessuto connettivo dove si trovano le cellule immunitarie, cosa che suggerisce che i frammenti virali possano causare l’attacco del sistema immunitario. I ricercatori evidenziano che sono necessari ulteriori studi per determinare se la persistenza di questi frammenti determina il Long Covid e i rischi associati come infarto e ictus. Ma, sulla base di questi risultati, il team di ricerca è coinvolto in numerosi studi clinici che stanno testando se gli anticorpi monoclonali o i farmaci antivirali possono rimuovere il virus e migliorare la salute delle persone con Long Covid.

–  Il Covid può persistere nel sangue e nei tessuti dei pazienti per più di un anno dopo la fine della fase acuta della malattia, secondo una nuova ricerca della University of California San Francisco. Gli studiosi hanno trovato frammenti di Sars-CoV-2, denominati antigeni Covid, persistenti nel sangue fino a 14 mesi dopo l’infezione e per più di due anni in campioni di tessuto di persone colpite dal virus. I risultati sono stati presentati alla Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi), che si è tenuta dal 3 al 6 marzo 2024 a Denver.

All’inizio della pandemia, si pensava che il Covid-19 fosse una malattia transitoria. Ma un numero crescente di pazienti, anche quelli che in precedenza erano sani, hanno continuato ad avere sintomi come confusione mentale, problemi digestivi e problemi vascolari, per mesi o addirittura anni. I ricercatori hanno esaminato campioni di sangue di 171 persone che erano state infettate da Covid. Utilizzando un test ultrasensibile per la proteina Spike, che aiuta il virus a penetrare nelle cellule umane, hanno scoperto che il virus era ancora presente fino a 14 mesi dopo in alcune persone. Tra coloro che erano ricoverati in ospedale per Covid, la probabilità di rilevare gli antigeni era circa il doppio. Poiché si ritiene che il virus persista nei serbatoi dei tessuti, gli studiosi si sono rivolti poi alla Long Covid Tissue Bank, che contiene campioni donati da pazienti con e senza Long Covid.

Hanno rilevato porzioni di RNA virale fino a due anni dopo l’infezione, sebbene non vi fossero prove che le persone si fossero reinfettate. L’hanno trovato nel tessuto connettivo dove si trovano le cellule immunitarie, cosa che suggerisce che i frammenti virali possano causare l’attacco del sistema immunitario. I ricercatori evidenziano che sono necessari ulteriori studi per determinare se la persistenza di questi frammenti determina il Long Covid e i rischi associati come infarto e ictus. Ma, sulla base di questi risultati, il team di ricerca è coinvolto in numerosi studi clinici che stanno testando se gli anticorpi monoclonali o i farmaci antivirali possono rimuovere il virus e migliorare la salute delle persone con Long Covid.

8 Marzo 2024
di intermedianews
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Problemi ai reni per 4 milioni di italiani, agire sullo stile di vita

Oltre 4 milioni di persone in Italia con problemi renali cronici, è urgente intervenire sugli stili di vita, in primis sulle abitudini alimentari, per migliorare la qualità di vita dei pazienti con malattia renale cronica (MRC), ritardando l’ingresso in dialisi o scongiurando il ricorso a trapianti. È l’appello che medici ed esperti rivolgono a pazienti, Istituzioni e personale sanitario in occasione della Giornata mondiale del rene che si celebra il 14 marzo, richiamando l’importanza di accompagnare la terapia farmacologica con uno stile di vita sano basato sulla dieta mediterranea e su una regolare attività fisica.

La MRC interessa più di 850 milioni di persone in tutto il mondo e nel 2019 ha causato oltre 3,1 milioni di morti1. In Italia, riguarda circa il 6-7% della popolazione adulta, con prevalenza negli anziani, soprattutto se già colpiti da malattie croniche quali diabete, obesità, ipertensione arteriosa e colesterolo alto. Trattandosi di una patologia “silente” che non presenta sintomi evidenti, risulta molto difficile diagnosticarla per tempo e ciò può determinare un peggioramento dello stato di salute. È per questo che la diagnosi precoce e la prevenzione, soprattutto attraverso un adeguato trattamento nutrizionale, sono gli strumenti fondamentali per offrire le cure più efficaci e migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro careviger, con un risparmio di costi sociali ed economici per tutta la comunità.

“Accanto alle terapie farmacologiche oggi disponibili è essenziale abbinare una adeguata terapia dietetico-nutrizionale (TDN): è solo dal connubio di questi due elementi, nonché dal lavoro sinergico tra nefrologi e dietisti/nutrizionisti, che può essere implementata una strategia in grado rallentare significativamente la progressione della malattia ed evitare la dialisi – commenta Massimo Morosetti, Presidente FIR – Fondazione Italiana Rene. La dieta ipoproteica controlla i sintomi degli stadi avanzati e contribuisce a ritardare l’ingresso in dialisi. Le diete per queste condizioni devono essere personalizzate sui singoli casi, tenere conto delle patologie associate”.

6 Marzo 2024
di intermedianews
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Oblio oncologico, in arrivo i decreti attuativi della legge

Nuovo passo avanti per la legge sull’oblio oncologico, approvata lo scorso dicembre. I decreti attuativi, indispensabili per l’applicazione e la definizione delle nuove norme, sono infatti in dirittura d’arrivo. Lo ha annunciato ieri il presidente della Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), Saverio Cinieri.

“La legge è stata approvata – ha affermato Cinieri – ma mancavano i decreti attuativi. Ora sono imminenti e questo consentirà di dare piena applicazione alle nuove norme grazie alle quali i pazienti guariti da un tumore si vedono finalmente riconosciuto il diritto di non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione di malato oncologico, con ricadute importanti nella vita quotidiana”. Una legge “di civiltà – ha aggiunto il direttore della Comunicazione Aiom, Mauro Boldrini – che era attesa da anni in Italia, mentre in molti altri Paesi è già da tempo una realtà”.

5 Marzo 2024
di intermedianews
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OMS: nel mondo oltre un miliardo di obesi, è un’epidemia

Oltre un miliardo di persone nel mondo soffrono di obesità e i numeri sono quelli di un’epidemia. Secondo l’analisi globale pubblicata sulla rivista The Lancet in occasione della Giornata mondiale dell’obesità del 4 marzo, riferita a dati del 2022, sono 159 milioni i bambini e gli adolescenti obesi e 879 milioni gli adulti. I numeri, rilevano gli autori della ricerca, sono in costante aumento.

“E’ importante prevenire e gestire l’obesità dalla prima infanzia all’età adulta, attraverso dieta, attività fisica e cure adeguate, se necessario”, osserva Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per affrontare il fenomeno, aggiunge, “è necessario il lavoro di governi e comunità, supportati dall’Oms e delle agenzie nazionali di sanità pubblica. Serve la collaborazione del settore privato, che deve essere responsabile degli impatti sulla salute dei loro prodotti”. La diffusione dell’obesità nei bambini è un problema particolarmente sentito in Italia, che l’ultimo rapporto dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità su obesità e infanzia colloca al quarto posto in Europa per prevalenza di sovrappeso e obesità. L’attenzione è alta anche perché all’obesità si somma facilmente il rischio del diabete. “Un bambino obeso ha il 75%-80%di probabilità di diventare un adulto obeso ad alto rischio di diabete”, osserva Angelo Avogaro, presidente della Società Italiana di Diabetologia.

Obesità e diabete, prosegue, sono “due parole ormai strettamente correlate, al punto da esser definite con il solo termine di ‘diabesità’. Il primo autore della ricerca pubblicata su The Lancet, Majid Ezzati dell’Imperial College di Londra, rileva che “è molto preoccupante che l’epidemia di obesità abbia colpito anche i bambini in età scolare e gli adolescenti, mentre centinaia di milioni soffrono ancora di sottonutrizione. E’ vitale – aggiunge – migliorare significativamente la disponibilità di cibi sani e nutrienti e renderli accessibili”. I dati riportati sulla rivista indicano che dal 1990 al 2022 la percentuale dei bambini e gli adolescenti obesi nel mondo è più che quadruplicata tra le ragazze (dall’1,7% al 6,9%) e tra i ragazzi (dal 2,1% al 9,3%). E’ un aumento, osservano gli autori della ricerca, che si riscontra in quasi tutti i Paesi. Bambini e adolescenti colpiti da obesità sono passati dai 31 milioni del 1990 a quasi di 160 milioni nel 2022. Di questi, le ragazze sono 65 milioni e i ragazzi 94 milioni. Nello stesso periodo l’obesità è aumentata anche negli adulti: passando da 195 milioni (128 milioni di donne e 67 milioni di uomini) a quasi 880 milioni (504 milioni di donne e 374 milioni di uomini). Sempre dal 1990 al 2022 la popolazione sottopeso è diminuita di circa un quinto tra le ragazze (dal 10,3% all’8,2%), e di oltre un terzo tra i ragazzi (dal 16,7% al 10,8%) ed è più che dimezzata negli adulti, passando dal 14,5% al 7% nelle donne; e dal 13,7% al 6,2% negli uomini.