Il numero di pubblicazioni scientifiche prodotto nel mondo ogni anno è più che decuplicato dal 1970 ad oggi. Gli articoli pubblicati nel 2022 e presenti su Web of Science, uno dei principali database della ricerca scientifica, superano i due milioni e mezzo (erano duecentomila nel 1970). Tuttavia l’editoria scientifica, un’industria da 30 miliardi di euro di fatturato annuo, è messa a rischio dalle “mega-riviste”, giornali scientifici ad accesso gratuito su cui gli scienziati possono pubblicare senza limiti, ma pagando anche di 2.000 euro a lavoro pubblicato.
E’ questo l’allarme sulle sorti di editoria e ricerca scientifica tout court è il team di Stefania Boccia dell’Università Cattolica sulla rivista JAMA. Le mega-riviste, come Plos One e Scientific Reports, che pubblicano ciascuna più di 2000 articoli l’anno, hanno avuto una crescita vertiginosa: se nel 2015 solo il 6% della letteratura biomedica era pubblicato su una mega-rivista, nel 2022 si arriva a un quarto degli articoli. Riviste tradizionali come Nature e Science si leggono a pagamento ma i ricercatori vi pubblicano gratuitamente i lavori scientifici se ritenuti validi dai revisori. Per le mega-riviste, invece, l’unico scopo è pubblicare: non vi è una selezione stringente dei lavori e ciò può favorire l’uscita di falsi scientifici, “ricerche fotocopia”, rendendo meno trasparente tutto il processo della ricerca scientifica e anche orientandola verso obiettivi sbagliati e inconcludenti. Inoltre, richiedendo tariffe salate per la pubblicazione, le mega-riviste potrebbero sfavorire ricercatori con pochi fondi e altresì risucchiare denaro, anche pubblico, destinato alla ricerca scientifica. I mega-journal sembrano aver creato il mix perfetto per mandare in crisi il vecchio sistema dell’editoria scientifica, il processo stesso di selezione delle ricerche migliori così come viene attualmente operata da parte di revisori esperti che lo fanno senza fini di lucro. Hanno il potenziale di rendere meno trasparente la ricerca e il mondo accademico, il cui obiettivo e metro per valutare i propri ricercatori è ormai sempre più spesso quello del numero di pubblicazioni, sostiene Boccia. Bisogna dare priorità, afferma, a pratiche di ricerca trasparenti e rigorose e sostenere le riviste che difendono questi principi, conclude.