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Smog, polveri sottili, dai polmoni finiscono nel cervello

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21 giugno 2022 – Le polveri sottili e più in generale lo smog dai polmoni trovano la via verso il cervello e ciò potrebbe spiegare il nesso tra inquinamento e aumentato rischio di disturbi neurologici e malattie come la demenza. È quanto emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista Pnas: Il viaggio delle particelle tossiche dai polmoni al cervello potrebbe avvenire attraverso il sangue, spiega un team internazionale di esperti dell’Università di Birmingham e di istituti di ricerca cinesi. Gli scienziati hanno trovato diverse particelle fini nei fluidi cerebrospinali umani prelevati da pazienti che avevano sofferto di disturbi cerebrali, scoprendo un processo che può portare sostanze tossiche nel cervello. L’inquinamento atmosferico è un cocktail di molti componenti tossici, ma il particolato (PM, in particolare le particelle fini ambientali come PM2,5 e PM0,1) è il più preoccupante in termini di effetti dannosi per la salute.

Le particelle ultrafini, in particolare, sono in grado di sfuggire ai sistemi di protezione dell’organismo, comprese le cellule immunitarie sentinella e le barriere biologiche. Recenti studi hanno rivelato un forte legame tra alti livelli di inquinamento atmosferico e una marcata neuroinfiammazione, cambiamenti simili all’Alzheimer e problemi cognitivi negli anziani e persino nei bambini. Il team di scienziati ha scoperto che le particelle inalate possono entrare nel flusso sanguigno, raggiungendo infine il cervello e provocando danni alla barriera ematoencefalica e ai tessuti circostanti. Una volta nel cervello, le particelle sono difficili da eliminare e vengono trattenute più a lungo rispetto ad altri organi. “I dati suggeriscono che un numero fino a otto volte superiore di particelle fini può raggiungere il cervello viaggiando dai polmoni, attraverso il flusso sanguigno, piuttosto che passando direttamente dal naso – aggiungendo nuove prove sulla relazione tra l’inquinamento atmosferico e gli effetti dannosi di tali particelle sul cervello”, commenta Iseult Lynch, coautrice, dell’Università di Birmingham.

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