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Tumori: “Nel 2020 posticipato il 99% degli interventi al seno e alla prostata”

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Roma, 13 maggio 2021 – Il Piano Europeo di Lotta contro il Cancro e la Mission on Cancer segnano una nuova era per l’oncologia. L’obiettivo è di far fronte all’intero decorso della malattia e salvare 3 milioni di vite umane entro il 2030. Il Piano è strutturato intorno a quattro ambiti di intervento fondamentali: prevenzione, individuazione precoce della malattia, diagnosi e trattamento, qualità della vita dei pazienti oncologici e delle persone guarite dal cancro. Ogni ambito è articolato in obiettivi strategici, a loro volta sostenuti da dieci ‘iniziative faro’ e da molteplici azioni di sostegno. Per ciascuna azione o gruppi di azioni omogenee, è indicato il relativo periodo di attuazione. Il Piano europeo intende migliorare l’accesso di tutti a tutte le terapie, comprese quelle innovative, garantendo la sostenibilità economica delle cure. Nel complesso, il Piano delinea un vero e proprio metodo di lavoro, che definisce e qualifica il nuovo approccio alle malattie oncologiche.
Il Piano Oncologico Nazionale deve necessariamente seguire la via indicata dall’Europa, prevedendo azioni, tempistiche, finanziamenti e modifiche regolatorie e legislative per superare l’emergenza oncologica. Ciò anche per rispondere concretamente alle gravi insufficienze strutturali dell’assistenza ai malati di cancro rese più che mai evidenti dalla pandemia.
In Italia, nel 2020, il 20% dei decessi per Covid-19 ha riguardato proprio i malati oncologici, sono stati posticipati il 99% degli interventi per tumori alla mammella, il 99,5% di quelli alla prostata, il 74,4% al colon retto. Non solo. Gli screening per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto hanno registrato una riduzione di due milioni e mezzo di esami nel 2020 rispetto al 2019 e, in media, per i tre programmi di prevenzione secondaria il ritardo è compreso tra 4 e 5 mesi. Tra gli obiettivi prioritari del Piano vi devono essere il finanziamento delle Reti Oncologiche Regionali, il potenziamento dell’assistenza oncologica domiciliare e territoriale, la tecnologia per gli screening diagnostici, lo sviluppo uniforme della telemedicina, la terapia CAR-T, la previsione di forme di sostegno psicologico ai malati oncologici, l’attivazione immediata della Rete dei tumori rari, la consegna di farmaci a domicilio e l’attuazione della norma che riconosce il ruolo dell’infermiere di famiglia. Le richieste sono contenute nel 13° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato oggi nell’ambito della XVI Giornata nazionale del malato oncologico promossa da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia).
L’On. Elena Carnevali, Componente XII Commissione (Affari Sociali), Camera dei Deputati, prima firmataria della risoluzione approvata all’unanimità nel novembre 2020 “Iniziative per la tutela e cura dei pazienti con patologie oncologiche”, ha illustrato i contenuti dell’interpellanza urgente del 4 maggio 2021 al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Vice Ministro della Salute, che: “ha trovato il pieno consenso del Governo per la definizione di una progettualità complessiva coerente con gli indirizzi del Piano oncologico europeo e che consenta il superamento dell’emergenza, il potenziamento delle infrastrutture, nonché l’adeguamento all’innovazione tecnologica e di processo, superando le disparità regionali”.
Anche il Senato è intervenuto attivamente attraverso la Senatrice Paola Binetti, Componente 12ª Commissione Igiene e Sanità con l’approvazione di un Ordine del giorno unitario, recepito dal Sottosegretario alla Salute Sileri che si è impegnato a presentare il Nuovo Piano Nazionale per l’Oncologia alla Conferenza Stato Regioni entro settembre. L’OdG appena approvato – afferma la Sen Binetti: “segna un impegno reale a ripartire, stando al fianco dei pazienti con tutti i mezzi che scienza e tecnica ci offrono, ma anche con un calore umano che metta fine allo stato di solitudine, a volte di abbandono, di cui si sono sentiti vittime”.
“Prendiamo atto con soddisfazione – afferma Francesco De Lorenzo, Presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – che le iniziative parlamentari, condotte con successo dall’On. Carnevali e dalla Sen. Binetti – con il pieno sostegno di FAVO – hanno raggiunto un primo importante risultato: l’impegno del Governo a promuovere un nuovo Piano oncologico nazionale, in linea con quello europeo. L’indispensabile passaggio successivo è rappresentato dall’inderogabile necessità di disporre del finanziamento per la sua attuazione. Solo in parte questo può essere coperto dai 4 miliardi di euro destinati agli Stati membri che recepiranno i principi del Piano e che realizzeranno le diverse progettualità previste, rispettando la tempistica indicata. La restante copertura non può che avvalersi del Recovery Plan (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR), il programma di investimenti che l’Italia è tenuta a presentare alla Commissione Europea per accedere alle risorse straordinarie del NextGenerationEU. Una delle sei Missioni del PNRR è infatti dedicata alla Salute e, in particolare, al rafforzamento della prevenzione e dei servizi sanitari sul territorio, alla modernizzazione e digitalizzazione del sistema sanitario. Non potrà esistere una nuova sanità, senza un’adeguata considerazione del cancro come fenomeno sanitario e sociale. Il nuovo Piano Oncologico italiano – continua il Prof. De Lorenzo – deve prevedere una cabina di regia che coinvolga anche le associazioni pazienti, un monitoraggio orchestrato dagli enti preposti e un cronoprogramma definito in modo da essere armonizzato al Piano Europeo di Lotta contro il Cancro”.
In Italia, nel 2020, sono stati stimati 377mila nuovi casi di tumore. “Il metodo per la programmazione adottato dall’Europa deve essere recepito nella predisposizione, ormai indifferibile, di un nuovo Piano Oncologico Nazionale – spiega Giordano Beretta, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Oggi il nostro Paese ne è privo: l’ultimo elaborato risale al 2013 ed è scaduto nel 2016. La difficile gestione del Covid-19 ha contribuito ad accrescere la consapevolezza della necessità di un profondo rinnovamento tecnologico e di processo dell’assistenza oncologica, che può rappresentare un vero e proprio traino per l’ammodernamento dell’intero Servizio sanitario nazionale. La lezione del Covid-19 non va sprecata. La pandemia ha prodotto danni collaterali e a risentirne sono stati, in primis, i pazienti oncologici. La riprogrammazione dell’attività sanitaria deve tenere in considerazione i tumori alla stessa stregua delle patologie tempo-dipendenti dove, a differenza della specialità cardiovascolare, il tempo non si conta in minuti od ore, ma in settimane o mesi che possono impattare sulla sopravvivenza globale, libera da malattia e sulla qualità di vita”. “La crisi pandemica – continua il Presidente Beretta – ha determinato un importante ritardo diagnostico e terapeutico dei pazienti affetti da cancro, che richiede oggi interventi su più fronti. Un investimento in risorse per le strutture che si occupano di malati oncologici. Un investimento organizzativo per fare affluire questi pazienti nei centri deputati nel più breve tempo possibile. Un investimento nelle reti oncologiche che possono guidare la ripresa, garantendo il miglior trattamento nel minor tempo possibile. Infine un investimento tecnologico per dare inizio ad un profondo cambiamento del complesso mondo delle visite e controlli ambulatoriali, oggi largamente effettuabili in remoto, come il periodo pandemico ha dimostrato, con significativi risparmi per il sistema”.
“Il ritardo nell’intervallo tra diagnosi e trattamenti chirurgici, chemioterapici e radioterapici produce un impatto negativo sulla sopravvivenza, documentato ad esempio nel carcinoma mammario, colorettale, della cervice uterina e del fegato – afferma Alessandro Gronchi, Presidente SICO (Società Italiana di Chirurgia Oncologica) -. Si stima che nel 2020, durante le prime 12 settimane di pandemia, a causa dell’occupazione e della riorganizzazione dei percorsi ospedalieri dovute al Covid, siano stati cancellati circa 28 milioni di interventi chirurgici a livello globale in 190 Paesi. In Italia la pandemia ha gravemente accentuato le differenze tra Regioni relativamente alla disponibilità di prestazioni e all’accesso all’assistenza. Numerosi reparti chirurgici sono stati chiusi e convertiti in reparti di medicina dedicati ai pazienti Covid-19 e, per molte settimane, è stato possibile trattare solo procedure oncologiche, sia di emergenza, sia elettive, con evidenti limitazioni in termini di volume di casi trattati. Complessivamente, nel 2020, sono stati rinviati oltre un milione di interventi chirurgici, come evidenziato da uno studio dell’Università Cattolica. Incrociando i dati di questa ricerca con quelli delle schede di dimissione ospedaliera del 2019, emerge che sono stati rimandati il 99% degli interventi per tumori alla mammella, il 99,5% di quelli per cancro alla prostata, il 74,4% al colon retto. Le ripercussioni non hanno riguardato solo i volumi, ma anche il percorso multidisciplinare e organizzativo. L’intervallo di tempo tra la discussione multidisciplinare nei tumor board e l’intervento chirurgico è più che raddoppiato nel 2010 rispetto al 2019: 7 settimane contro 3”.
È centrale anche il ruolo della radioterapia. “Più della metà dei pazienti oncologici necessita di un trattamento radioterapico. In uno scenario in cui i trattamenti sistemici e chirurgici vengono posticipati, è ancora più necessario garantire l’accesso alla radioterapia senza significative interruzioni – conclude Vittorio Donato, Presidente AIRO (Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica) -. I Dipartimenti Italiani di Radioterapia Oncologica hanno adottato, fin dall’inizio della pandemia, diverse soluzioni per ridurre al minimo le omissioni e le interruzioni dei trattamenti radioterapici. Nella prima fase della pandemia nessun centro ha chiuso, neppure tra le 85 strutture (68% dei centri) che sono diventate centri COVID-19, e l’impatto dell’emergenza sui volumi complessivi di attività clinica è stato contenuto: 38 centri (30,4%) hanno ridotto il carico di lavoro del 10-30% e 11 (8,8%) del 30-50%. Durante la seconda fase, grazie a tutte le misure adottate per limitare il contagio tra il personale e i pazienti, la maggior parte dei centri (61,8%) non ha riportato alcuna riduzione oppure una diminuzione dell’attività clinica inferiore al 10%, quindi molto meno marcata rispetto al resto d’Europa e agli Stati Uniti. Un risultato eccezionale, considerando quanto il nostro Paese sia stato colpito dalla pandemia fin dal suo esordio”.

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