Seconda tappa degli appunti semiseri di Laura dal tunnel chemioterapico
Uscita semi illesa (a parte uno pseudo blocco intestinale in concomitanza con un matrimonio a Catania a fine luglio – vi risparmio i dettagli di quanto possa essere stato pratico partorire surrogati di feci ogni quarto d’ora, cerimonia compresa), mi accingo ad affrontare il 10 agosto, con una temperatura esterna oscillante tra i 39 e i 42 gradi, la seconda chemio, dopo la quale avevo optato di “ritirarmi nella mia casa di campagna in Toscana” (quanto fa snob, anche se si tratta di un buco più piccolo del camper di Barbie) per trascorrere in apparente serenitá i postumi della sbornia da FEC!
Intanto avevo perso i capelli, avevo assunto un incarnato tra il grigio morte e il verde putrefazione, e sembravo, con la mia camicia da notte slargata, la bambina posseduta dal demonio del film “Il Marchese del Grillo”!
Ma la cosa più allucinante era il caldo senza tregua, quello che toglie angoli di vita alla gente che sta bene e che tenta di uccidere da dentro quello che resta di un chemioterapizzato!
È stato un incubo, allietato dal manifestarsi di un mughetto di proporzioni abnormi, che ha pensato bene di impossessarsi prima della mia lingua per poi addentrarsi carnalmente in esofago e stomaco, per generare un idillico duetto con la nausea ingestibile. Unica cosa commestibile: litri di Coca Cola con conseguenti rutti da camionista.
Poco male: se non ti hanno ancora lasciato in preda ad un divorzio per giusta causa, non badano più a nulla – è spaventosamente tutto lecito! A questo si aggiunsero le placche in gola fino alle orecchie con evidente mono lacrima che scandiva ogni deglutizione. Quindi giù di antibiotici e antinfiammatori, tanto che la mia batteria di pillole mattutine continuava ad arricchirsi di nuovi quanto imprevisti elementi! Con lo stomaco in una mano e il fegato nell’altra, ho pensato bene di fare una breve visita di cortesia all’oncologo in previsione della terza imminente chemio (31 agosto).
Prendendo coscienza del mio evidente stato di shock, l’oncologo di cui sopra, pensa bene di farmi vedere dallo psicologo del reparto, il quale mi consiglia di iniziare a dipingere acquarelli per esternalizzare il mio stato d’animo, come i bambini disadattati (ma in chemio tutto appare cosí normale!). Alla mia prima produzione che rappresentava me che strangolavo il sole, pensò bene di prescrivermi degli psicofarmaci che potessero placare la mia voglia di assassinio illogico, e cosí aggiunsi un nuovo pezzo alla collezione mattutina e ritornai a guardare il sole in maniera più benevola.