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Ricerca clinica: dall’innovazione benefici per il sistema, servono fondi

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Un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Servizio Sanitario Nazionale. L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro. È stato stimato, soltanto nell’area dell’oncoematologia, un risparmio potenziale di circa 400 milioni di euro ogni anno. Cifre che raggiungono dimensioni macroeconomiche, di alcuni miliardi di euro, se si considerano tutte le sperimentazioni svolte in Italia. Il nostro Paese però è ancora lontano dall’obiettivo di investire in ricerca il 3% del PIL, come raccomandato dall’Unione Europea, fermandosi all’1,43%, con solo lo 0,5% di investimento pubblico. Al “Valore della ricerca clinica in oncologia, ematologia e cardiologia” è dedicato il convegno nazionale organizzato oggi a Roma da FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), con gli interventi, fra gli altri, del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, e del Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.

“La ricerca scientifica è la chiave di volta per garantire a ogni persona le migliori opportunità di cura e assistenza sanitaria – afferma il Ministro Schillaci -. Permettere ai pazienti di accedere a farmaci innovativi e sicuri in tempi più brevi nonché garantire una maggiore competitività dell’Italia a livello globale sono due priorità all’interno dell’agenda del mio mandato al Ministero della Salute. In questa visione di ampio respiro, si inseriscono i Decreti sui Comitati Etici, che ho recentemente firmato e che costituiscono un passo in avanti decisivo verso la piena implementazione nel nostro ordinamento del Regolamento europeo 536 del 2014 in materia di sperimentazioni cliniche. Tali provvedimenti rivestono un’importanza fondamentale per l’iter regolatorio di approvazione delle sperimentazioni e per un miglioramento della performance dell’Italia nel settore, muovendosi nella direzione di una minore burocrazia, senza rinunciare al livello di rigore scientifico necessario per garantire farmaci e dispositivi medici sicuri. Dobbiamo mettere in campo ogni iniziativa per dare impulso all’innovazione e alla ricerca sanitaria. I fondi per la ricerca e per la sanità in generale sono stati sempre inferiori rispetto alla media europea. È arrivato il momento di invertire la rotta”.

“In cinque anni il numero di nuovi studi clinici autorizzati nel nostro Paese è aumentato in maniera esponenziale: da 564 nel 2017 a 818 nel 2021, in un quinquennio sono stati 3403 – spiega Francesco Cognetti, Presidente FOCE -. Ogni anno in Italia sono circa 40mila i cittadini coinvolti nelle sperimentazioni. Due terzi dei trial interessano le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono i due terzi della mortalità annuale. I vantaggi che derivano dalla ricerca sono a 360 gradi. I pazienti possono beneficiare di terapie innovative con grande anticipo rispetto alla loro disponibilità, ottenendo miglioramenti della sopravvivenza e qualità di vita. Le aziende sanitarie che ospitano centri sperimentali godono di un innalzamento dell’assistenza sanitaria e della crescita professionale del personale coinvolto. Inoltre, allo sviluppo di nuovi farmaci fa seguito una forte utilità sociale, per l’allungamento della vita media dei cittadini. La ricerca clinica è, pertanto, un motore di sviluppo economico e sociale per il Paese”.

Gli investimenti complessivi pubblici e privati in questo settore, in Italia, equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno, di cui il 92% proveniente da aziende farmaceutiche per studi profit. Inoltre, circa l’80% delle ricerche svolte nella Penisola è di origine internazionale e rappresenta un’esportazione di servizi, contribuendo positivamente alla bilancia commerciale del nostro Paese. In particolare, l’oncologia assorbe ben il 40% dei trial (330 nel 2021). Nel 2022, in Italia, sono stati stimati 390.700 nuovi casi di cancro. Il 65% delle donne e il 59% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi, un risultato molto importante raggiunto anche grazie all’innovazione. “Il progresso della ricerca contro i tumori negli ultimi 50 anni è stato incredibile – spiega Carlo Croce, Professore di Medicina Interna alla Ohio State University (USA) -. Mezzo secolo fa non sapevamo nulla della base molecolare dei tumori. Abbiamo poi scoperto che le neoplasie sono causate da alterazioni genetiche somatiche, che si verificano durante la nostra vita. L’identificazione di queste mutazioni ha permesso lo sviluppo di farmaci mirati, le terapie a bersaglio molecolare. E l’ultima frontiera dell’immunoncologia, in alcuni casi, permette di cronicizzare malattie molto aggressive come il melanoma metastatico. Oggi, per sviluppare un farmaco anticancro innovativo, serve circa un miliardo di dollari. Se le aziende farmaceutiche non riuscissero a recuperare questi costi, non investirebbero più nella ricerca. La sfida è individuare il difficile compromesso tra l’impulso all’innovazione, che sostiene lo sviluppo di nuove molecole, e le esigenze di sostenibilità dei sistemi sanitari. Un patto fra industria, clinici, Istituzioni e Università è la via da seguire per dare nuovo impulso alla ricerca”.

“I centri sperimentali del nostro Paese sono ritenuti un’eccellenza, per la loro indiscussa qualità scientifica e accademica – sottolinea Giorgio Palù, Presidente AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) -. Ne va però migliorata l’organizzazione, uniformando processi e procedure. È necessario anche adeguarne la dotazione tecnica e strumentale, in particolare digitale, e aumentarne gli organici. Una delle maggiori criticità riguarda i tempi di avvio dei trial, caratterizzati da un iter regolatorio lungo e difficoltoso. Questi elementi possono minare l’attrattività dell’Italia. Ci auguriamo che i nuovi standard stabiliti dal Regolamento europeo 536 del 2014, che ha armonizzato il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri, consentano di superare queste difficoltà, accelerando le decisioni e riducendo i vincoli burocratici”.

L’Italia si è finalmente adeguata alla normativa comunitaria, grazie ai quattro decreti firmati dal Ministro della Salute il 30 gennaio 2023. “Il nostro Paese ha rischiato di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che era già partito il 31 gennaio 2022, con l’entrata in vigore del ‘Clinical Trial Information System’ (CTIS), il portale unico continentale per le sperimentazioni, istituito dal Regolamento europeo – continua il Prof. Cognetti -. L’Italia è restata ferma in una fase di transizione di un anno e, grazie alla decisione del Ministro Schillaci, siamo riusciti ad aggregarci al resto del Continente. Oggi il nostro Paese è in quarta posizione in Europa per studi clinici aderenti al nuovo Regolamento europeo, dopo Francia, Spagna e Germania. Va recuperato il tempo perduto”.

“Oggi riusciamo a guarire definitivamente circa l’80% dei bambini che si ammalano di tumore in età pediatrica, con percentuali di guarigione per alcune neoplasie che arrivano addirittura a oltre il 90% – spiega Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità -. Gli investimenti in ricerca e le collaborazioni scientifiche internazionali hanno permesso di ottenere questi importanti traguardi. Da un lato le terapie a bersaglio molecolare, dall’altro l’immunoncologia hanno cambiato lo scenario. La prossima sfida è utilizzare la terapia cellulare con CAR-T, basata sui linfociti del paziente modificati geneticamente, che ha già dimostrato di essere efficace nei tumori ematologici, anche nelle neoplasie solide”.

“Oggi circa il 75% dei pazienti adulti colpiti da tumori ematologici è guarito o ha una lunga sopravvivenza con buona qualità della vita – afferma Paolo Corradini, Presidente SIE (Società Italiana di Ematologia) -. Il nostro Paese ha contribuito in modo significativo allo sviluppo di molte terapie innovative nei tumori ematologici. Tra le terapie più promettenti vi sono le cellule CAR-T che sono rimborsate nel nostro Paese nei linfomi più aggressivi, nella leucemia linfoblastica acuta e fra poco nel mieloma multiplo, in pazienti già sottoposti a diverse linee di terapia. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti, infatti il Servizio Sanitario Nazionale ottiene un beneficio grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial. Questo risparmio non è palese, perché non è tracciato nella contabilità degli ospedali, ma è molto rilevante. Non solo. L’investimento dell’azienda sponsor, oltre al farmaco sperimentale e di controllo, include spesso altre prestazioni necessarie alla raccolta dei dati o alla selezione dei pazienti, come esami diagnostici, analisi di laboratorio centralizzate e test genetici. Queste prestazioni costituiscono una parte significativa del valore complessivo delle sperimentazioni: generano investimenti diretti e, potenzialmente, costi evitati per il sistema. Inoltre, determinano spesso un beneficio addizionale per il paziente, che può usufruire di prestazioni diagnostiche più frequenti e accurate oppure accedere a test genetici in grado di modificare il percorso di cura”.

“Il settore della ricerca clinica è un’eccellenza del sistema scientifico ed economico in Italia e, da decenni, è un motore di avanzamento per l’intero Paese – evidenzia Guido Rasi, Past Executive Director dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e Professore Ordinario di Microbiologia all’Università di Tor Vergata di Roma -. Questo ruolo, purtroppo, non è sempre percepito nella vastità della sua portata da tutti gli attori coinvolti e restano potenzialità inespresse. Vanno garantiti tempi e costi di avvio degli studi clinici compatibili con la competizione internazionale, capitalizzando l’esperienza maturata durante la pandemia Covid-19, e favorendo la collaborazione tra pubblico e privato”.

“È trainante il ruolo delle imprese del farmaco al finanziamento complessivo delle sperimentazioni – conclude Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC (Società Italiana di Cardiologia) -. Il sostegno pubblico in questo settore infatti è, da sempre, sottodimensionato in Italia. Inoltre, una parte della componente pubblica è comunque sostenuta attraverso contributi delle imprese agli studi indipendenti. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza del valore della ricerca clinica da parte delle Istituzioni e dei cittadini. Ma servono più risorse pubbliche. In questo modo, l’Italia potrà aumentare la sua competitività ed attrattività come sede ottimale per lo svolgimento dei trial”.

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