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I pazienti: troppe le differenze nell’accesso alle terapie anti-cancro

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Roma, 12 maggio 2016 – I pazienti oncologici devono aspettare 427 giorni in Italia (contro i 364 della Francia, i 109 del Regno Unito e gli 80 della Germania) per accedere ai trattamenti innovativi con preoccupanti differenze regionali. Nel nostro Paese manca la rete della terapia del dolore e le cure domiciliari sono di fatto uscite dai livelli essenziali di assistenza (LEA) regionali, vengono infatti attivate solo per il 48,1% dei pazienti al momento delle dimissioni (per il restante 51,9% provvedono i familiari). E l’accesso a beni e servizi, come i prodotti assicurativi e bancari, è ancora oggi negato a chi ha un passato di malato. È forte la rabbia dei pazienti per l’occasione perduta della riforma costituzionale recentemente approvata. Il modello di regionalismo delineato nel nuovo Titolo V della Costituzione continua a non attribuire allo Stato l’esercizio dei poteri sostitutivi, in caso di necessità, a tutela della concreta attuazione dei LEA. La denuncia è contenuta nell’VIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici presentato oggi al Senato nel corso della XI Giornata del malato oncologico, organizzata dalla FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia). “Il nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione – sottolinea il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO – non consente il superamento di quell’intollerabile differenziazione tra aree del Paese nell’accesso alle terapie e all’assistenza sociale. Il ruolo di garanzia dello Stato non può limitarsi alla definizione dei LEA, ma dovrebbe comprendere anche l’uniformità e il controllo della loro erogazione. L’approvazione dell’emendamento con il quale si inserisce la possibilità di devolvere alle Regioni la potestà legislativa generale sulle politiche sociali rappresenta una sconfitta per tutti i malati”. Le differenze a livello regionale stanno peggiorando e toccano molti aspetti. Avere le terapie giuste al momento giusto è l’unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci. “Ciò purtroppo non avviene a causa di ritardi dovuti all’iter autorizzativo dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e delle Regioni – spiega il prof. De Lorenzo -. Secondo un’indagine Censis-FAVO, il 53,8% dei pazienti pensa che la messa a disposizione di terapie innovative personalizzate sia una priorità, il 78,8% ritiene che troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei malati e l’83% che il ticket li penalizzi. Nel 2015 sono stati stimati 363mila nuovi casi. Il costo sociale totale del tumore è pari a 36,4 miliardi di euro annui e i costi pro capite per unità, composta da paziente e relativo caregiver (convivente e non convivente), sono pari a 41,2 mila euro annui. Il sistema sanitario è in sofferenza, schiacciato dal contenimento della spesa. È anche orfano di un progetto politico che ne attualizzi gli scopi e lo renda al passo con i tempi. Il contributo del volontariato oncologico è pertanto centrale e strategico per l’elevato impatto economico e sociale della malattia, con riferimento sia alla fase acuta che alla riabilitazione, ancora oggi sorprendentemente trascurata dal Servizio sanitario nazionale”.

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