Souloncology

Oltre la malattia

Un’altra possibilità

Mi sono sposata che avevo 35 anni e dopo un aborto i medici mi dicevano che non avrei potuto avere più figli, se non con l’inseminazione artificiale.

Io e mio marito non abbiamo voluto intraprendere questa strada e abbiamo avviato le pratiche per un’ adozione. Era novembre e dopo qualche colloquio con i giudici ho conosciuto il mio primo figlio; è entrato a casa nostra il giorno del 38° anniversario della morte di mia madre.

Mi e sembrato un suo regalo, ero felicissima e tutti intorno a me lo erano. In paese la gente mi fermava per farmi gli auguri per il bellissimo bambino che tenevo in braccio nonostante i suoi quasi 3 anni. Ho iniziato a fare la mamma a 39 anni, ero un po’ imbranata ma felice.

Nel marzo successivo ho iniziato ad avere dei malesseri: le mestruazioni non arrivavano, la testa girava e avevo la nausea.

Credevo che stavo entrando in menopausa, ma la mia migliore amica non era convinta e mi comprò i test di gravidanza in farmacia. Era la vigilia della festa del papà e il test era rosa!

Sono andata dal ginecologo con la mia amica e mio marito, il medico mi confermò la gravidanza. Non vi dico i pianti di gioia miei e della mia amica e la faccia sbalordita ed incredula di mio marito!

Nell’ottobre successivo è nato il mio secondo figlio. A 41 anni ero mamma di due bambini! Mi ricordo il fastidio che provavo quando in ospedale mi chiamavano “primipara attempata”.

Gli anni sono trascorsi più o meno serenamente fin quando decisi, dietro consiglio del ginecologo (perché ormai avevo 50 anni) di fare una mammografia. Lo studio mi aveva dato appuntamento 3 giorni prima del compleanno di mio figlio, ma poiché gli avevo organizzato una bellissima festa in una ludoteca ho chiesto un rinvio (forse il sesto senso mi guidò in quella scelta).

Ho fatto la mammografia il 27 ottobre, il giorno dopo il compleanno di F. Il tecnico radiologo non ha voluto farmi spaventare ma mi fece promettere di non trascurare la cosa. A poco a poco sono entrata nel tunnel di chi comincia a scoprire di avere un cancro e deve affrontare interventi, cure e paure che solo chi prova può conoscere.

I primi giorni il mio terrore era quello di dover morire e di dover lasciare i miei figli orfani, come mia madre aveva fatto con me.

Ricordavo la tristezza, la solitudine, il buio, il silenzio che erano entrati a casa mia dopo la morte di mamma e temevo che tutto questo l’avrebbero dovuto rivivere i miei figli. Mi dicevo che era impossibile che Dio mi aveva fatto tanti regali per poi togliermeli cosi presto.

Poi mi è venuto in mente che, in fondo,anche questa volta mi stava dando un’altra possibilità: mi aveva illuminata a fare un accertamento quasi casualmente, dandomi la possibilità di potermi curare! Ho fatto tutto ciò che mi hanno detto i medici: prima operazione, seconda con scavo ascellare, chemio, radioterapia e cura ormonale.

Tutto senza mai nascondere niente ai miei figli, che capivano, ma, forse, non completamente.

Non dico di aver fatto questo solo per loro, perchè la paura di morire è forte, ma forte è stata la loro presenza in quel periodo.

Però devo dire che, per quante persone ti possano stare vicino in quei momenti in realtà tutto si affronta da soli e forse i più adeguati ad incoraggiarti sono quegli estranei, che diventano, parenti che incontri negli ospedali, nei centri oncologici, i quali quando ti raccontano di loro e ti chiedono di te si appoggiano sulla tua spalla per non sentirsi soli.

Anch’io mi sono appoggiata a loro e ancora oggi ci sosteniamo a vicenda. Tuttavia quando vado a fare i controlli di routine dedico sempre un pensiero a mia madre e le chiedo scusa se si è sentita troppo sola quando ha capito che doveva dirci addio.

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