Souloncology

Oltre la malattia

Scene di una vita di Francesca Falsetti

Chi sono? Per tanto tempo la risposta a questa domanda è stata semplicissima: sono un’ammalata. Ho il cancro. Questa condizione, giunta improvvisa, è stata in grado di sovvertire tutto l’ordine sociale. La donna, l’artista, l’insegnante, la fotografa, tutte le sfumature del mio io cangiante e da sempre creativo non esistevano più: la complessità del mio essere era cristallizzata in una dimensione parallela, racchiusa dentro un limite, ben visibile, doloroso, emarginante.

Come Alice nel Paese delle Meraviglie mi sono ritrovata troppo piccola nella stanza chiamata carcinoma ed ho capito che da sola era impossibile uscirne. Non ero più sana, ma ricordavo bene cosa volesse dire ed avevo una grande forza dalla mia parte: l’arte. Perché Arte è vedere la luce nel buio, la bellezza nella sofferenza, il colore nella monotonia.

Le forze erano talmente esigue, ma l’urgenza così forte che in me si formò, visita dopo anticamera, operazione dopo chemio, quello che poi divenne il mio diario fotografico: la sintesi dei miei pensieri, condensata negli scatti che realizzavano il mio nuovo sguardo sul mondo. Era cambiato il modo di vivere la mia vita, di vedere, di descrivere e quindi di capire. Fissavo in un’istantanea ogni nuovo passo verso la nuova me. Non sapendo ancora se sarebbe sopravvissuta, ma sicuramente sarebbe stata nuova. Nata anche un solo attimo prima della morte.

Attraverso l’Arte della scrittura e della fotografia, ma anche del saper cogliere le sfumature dei colori, la plasticità delle ombre e la poetica degli spazi, ho trovato le risposte per ricostruire il mio essere integra dopo la deflagrazione. L’ Arte ha suturato le ferite e, come un bottone, ha ricongiunto i mondi nei quali ero stata divisa come un ponte tra l’interno della mia sofferenza pieno di buio e l’esterno del mondo dei sani, pieno di luce. E così, quando ho raccolto tutti i “pezzi di me in pezzi, su fogli di carta sparsi” ho visto che erano un percorso: da dentro a fuori, dal dolore alla speranza.

Tanta sofferenza non poteva restare senza frutto.

Sentivo l’urgenza di condividere ciò che avevo scoperto, di svelare a quanti più possibile l’uscita dal labirinto. Sono sempre stata convinta che da soli non siamo in grado di costruire nulla: siamo animali sociali, abbiamo bisogno di condividere. Avevo solo un gomitolo di giorni inutili tra le mani, ma sapevo che con l’aiuto di chi avesse compreso l’importanza del mio messaggio, avrei potuto essere per gli altri quello che avevo sperato esistesse per me. Con questo spirito ed una manciata di fogli, parlai del mio progetto artistico con Silvana Dal Magro, a capo della Fondazione Bruno Maria Zaini di Bologna.

Trovai un entusiasmo ed un’energia incredibili. Così nacque “Interno notte. Esterno giorno. Scene di una vita.”
Quello che volevo era che il libro fosse un diario fotografico autobiografico e che non avesse nulla a che fare con le sequenze strazianti e descrittive, schematiche ed umilianti di altre pazienti che avevo letto. Doveva essere un dono.

Grazie all’aiuto di Paolo Milani per la parte grafica, lo scritto assunse la forma di un atlante illustrato del mio viaggio verso la consapevolezza. E la rinascita.

A lavoro finito la cosa più importante era riuscire a ricambiare il favore: rendere tutto il bene e tutta la forza che avevo ricevuto e molto di più, trasmettere il messaggio di energia e di speranza che in me nel tempo era cresciuto, visto l’evolversi positivo della malattia, raggiungere più persone possibili ed aiutarle a guarire! Decidemmo, quindi, di devolvere interamente tutti i proventi ricavati dalle vendite del libro per finanziare la ricerca contro il Cancro.

Chi sono ora? Ora che sembra improvvisamente tutto finito, sento ancora l’eredità di ciò che ho attraversato e potrei dire che mi sento una sopravvissuta. Come una galleria tra due paesaggi differenti, la malattia mi ha condotta da una consapevolezza di me ad un’altra. Il cancro miete sempre una vittima. E quella che ero non sono più.
Cosa resta della crisalide? La memoria del dolore, il senso di spaesamento, l’intima solitudine… ma è nata una farfalla!

Com’è dunque essere una farfalla? E’ vivere ogni giorno sentendosi come appesi ad un filo luminoso, lungo il quale si danza il proprio volo, oscillando verso l’alto e verso il basso, cucendo lo spessore della propria esistenza, sentendone la profondità e la leggerezza, abbellendo con i propri colori anche il campo più brullo. Consci che la vita è come un battito d’ali.

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