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Oltre la malattia

18 Marzo 2024
di intermedianews
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I papà italiani i più vecchi nella Ue, il primo figlio a quasi a 36 anni

Diventare papà per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a spostare sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia in altri Paesi europei. I più recenti dati Istat evidenziano, infatti, che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2. Un uomo su 3 supera persino questa soglia, risultando ancora senza figli oltre i 36 anni.

Evidenze scientifiche dimostrano però che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo – motilità, morfologia e anche i danni al Dna – peggiorano con l’aumentare dell’età. A ciò si aggiunge che con l’età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientali esterni, come le microplastiche che hanno dimostrato essere un problema per la fertilità maschile. Questo il quadro tracciato in occasione della Festa del Papà dagli esperti della Società Italiana di Andrologia (Sia).

“In Italia l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ’90 ai circa 36 attuali. La nostra società sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il picco tra i 20 e i 30 anni e la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino – spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia -. Bisogna insegnare ai giovani l’importanza di una fertilità sana al momento giusto, e che va preservata. È fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età”. Gli esperti mettono in guardia anche sulle probabilità che i figli sviluppino problemi di salute a breve e lungo termine.

Al fine di ‘aiutare’ la fertilità maschile, la Sia, con l’Istituto di Farmacologia Clinica dell’Università degli studi di Catanzaro, ha sviluppato un nuovo integratore. Il composto è il Drolessano, un mix di 7 sostanze naturali i cui benefici sono dimostrati da una revisione di studi pubblicata sulla rivista Uro. Due di tali sostanze hanno specifici effetti sulla fertilità maschile: l’escina, estratta dai semi e dal guscio dell’ippocastano, un antiossidante utile nel preservare la fertilità ma anche per prevenire i sintomi della prostatite cronica implicata nella riduzione della fertilità, ed il licopene, presente nei pomodori, che può aumentare la qualità dello sperma e proteggere dagli effetti dei radicali liberi.

15 Marzo 2024
di intermedianews
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ISS: stabile il numero di casi di sindromi simil-influenzali

E’ stabile il numero di casi di sindromi simil-influenzali (Ili) in Italia nella decima settimana del 2024, dal 4 al 10 marzo. L’incidenza è infatti pari a 6,3 casi per mille assistiti contro il 6,4 della settimana precedente. Particolarmente colpiti i bambini sotto i 5 anni di età in cui si osserva un livello di incidenza di 18,1 casi per mille assistiti contro il 19,4 precedente. Questo quanto emerge dal rapporto epidemiologico RespiVirNet, elaborato dal Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

La sorveglianza epidemiologica, coordinata dall’Iss in collaborazione con il ministero della Salute, si avvale del contributo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, dei referenti presso le Asl e le Regioni e dei laboratori di riferimento regionale per i virus respiratori. L’obiettivo è descrivere i casi di sindrome simil-influenzale, stimarne l’incidenza settimanale durante la stagione invernale, in modo da determinare l’inizio, la durata e l’intensità dell’epidemia. Nella decima settimana del 2024 in tutte le Regioni/Province Autonome italiane, tra quelle che hanno attivato la sorveglianza, il livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali è sopra la soglia basale (3,99 casi per mille assistiti) tranne il Molise e la Basilicata che raggiungono il livello basale. L’incidenza osservata in alcune regioni, nota peraltro il rapporto, è fortemente influenzata dal ristretto numero di medici e pediatri che hanno inviato, al momento, i loro dati. La popolazione degli assistiti in sorveglianza è mediamente pari a 2.064.738 assistiti per settimana, pari al 3,6% dell’intera popolazione italiana.

11 Marzo 2024
di intermedianews
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Covid, il virus può rimanere nell’organismo per oltre 1 anno

Il Covid può persistere nel sangue e nei tessuti dei pazienti per più di un anno dopo la fine della fase acuta della malattia, secondo una nuova ricerca della University of California San Francisco. Gli studiosi hanno trovato frammenti di Sars-CoV-2, denominati antigeni Covid, persistenti nel sangue fino a 14 mesi dopo l’infezione e per più di due anni in campioni di tessuto di persone colpite dal virus. I risultati sono stati presentati alla Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi), che si è tenuta dal 3 al 6 marzo 2024 a Denver.

All’inizio della pandemia, si pensava che il Covid-19 fosse una malattia transitoria. Ma un numero crescente di pazienti, anche quelli che in precedenza erano sani, hanno continuato ad avere sintomi come confusione mentale, problemi digestivi e problemi vascolari, per mesi o addirittura anni. I ricercatori hanno esaminato campioni di sangue di 171 persone che erano state infettate da Covid. Utilizzando un test ultrasensibile per la proteina Spike, che aiuta il virus a penetrare nelle cellule umane, hanno scoperto che il virus era ancora presente fino a 14 mesi dopo in alcune persone. Tra coloro che erano ricoverati in ospedale per Covid, la probabilità di rilevare gli antigeni era circa il doppio. Poiché si ritiene che il virus persista nei serbatoi dei tessuti, gli studiosi si sono rivolti poi alla Long Covid Tissue Bank, che contiene campioni donati da pazienti con e senza Long Covid.

Hanno rilevato porzioni di RNA virale fino a due anni dopo l’infezione, sebbene non vi fossero prove che le persone si fossero reinfettate. L’hanno trovato nel tessuto connettivo dove si trovano le cellule immunitarie, cosa che suggerisce che i frammenti virali possano causare l’attacco del sistema immunitario. I ricercatori evidenziano che sono necessari ulteriori studi per determinare se la persistenza di questi frammenti determina il Long Covid e i rischi associati come infarto e ictus. Ma, sulla base di questi risultati, il team di ricerca è coinvolto in numerosi studi clinici che stanno testando se gli anticorpi monoclonali o i farmaci antivirali possono rimuovere il virus e migliorare la salute delle persone con Long Covid.

–  Il Covid può persistere nel sangue e nei tessuti dei pazienti per più di un anno dopo la fine della fase acuta della malattia, secondo una nuova ricerca della University of California San Francisco. Gli studiosi hanno trovato frammenti di Sars-CoV-2, denominati antigeni Covid, persistenti nel sangue fino a 14 mesi dopo l’infezione e per più di due anni in campioni di tessuto di persone colpite dal virus. I risultati sono stati presentati alla Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi), che si è tenuta dal 3 al 6 marzo 2024 a Denver.

All’inizio della pandemia, si pensava che il Covid-19 fosse una malattia transitoria. Ma un numero crescente di pazienti, anche quelli che in precedenza erano sani, hanno continuato ad avere sintomi come confusione mentale, problemi digestivi e problemi vascolari, per mesi o addirittura anni. I ricercatori hanno esaminato campioni di sangue di 171 persone che erano state infettate da Covid. Utilizzando un test ultrasensibile per la proteina Spike, che aiuta il virus a penetrare nelle cellule umane, hanno scoperto che il virus era ancora presente fino a 14 mesi dopo in alcune persone. Tra coloro che erano ricoverati in ospedale per Covid, la probabilità di rilevare gli antigeni era circa il doppio. Poiché si ritiene che il virus persista nei serbatoi dei tessuti, gli studiosi si sono rivolti poi alla Long Covid Tissue Bank, che contiene campioni donati da pazienti con e senza Long Covid.

Hanno rilevato porzioni di RNA virale fino a due anni dopo l’infezione, sebbene non vi fossero prove che le persone si fossero reinfettate. L’hanno trovato nel tessuto connettivo dove si trovano le cellule immunitarie, cosa che suggerisce che i frammenti virali possano causare l’attacco del sistema immunitario. I ricercatori evidenziano che sono necessari ulteriori studi per determinare se la persistenza di questi frammenti determina il Long Covid e i rischi associati come infarto e ictus. Ma, sulla base di questi risultati, il team di ricerca è coinvolto in numerosi studi clinici che stanno testando se gli anticorpi monoclonali o i farmaci antivirali possono rimuovere il virus e migliorare la salute delle persone con Long Covid.

8 Marzo 2024
di intermedianews
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Problemi ai reni per 4 milioni di italiani, agire sullo stile di vita

Oltre 4 milioni di persone in Italia con problemi renali cronici, è urgente intervenire sugli stili di vita, in primis sulle abitudini alimentari, per migliorare la qualità di vita dei pazienti con malattia renale cronica (MRC), ritardando l’ingresso in dialisi o scongiurando il ricorso a trapianti. È l’appello che medici ed esperti rivolgono a pazienti, Istituzioni e personale sanitario in occasione della Giornata mondiale del rene che si celebra il 14 marzo, richiamando l’importanza di accompagnare la terapia farmacologica con uno stile di vita sano basato sulla dieta mediterranea e su una regolare attività fisica.

La MRC interessa più di 850 milioni di persone in tutto il mondo e nel 2019 ha causato oltre 3,1 milioni di morti1. In Italia, riguarda circa il 6-7% della popolazione adulta, con prevalenza negli anziani, soprattutto se già colpiti da malattie croniche quali diabete, obesità, ipertensione arteriosa e colesterolo alto. Trattandosi di una patologia “silente” che non presenta sintomi evidenti, risulta molto difficile diagnosticarla per tempo e ciò può determinare un peggioramento dello stato di salute. È per questo che la diagnosi precoce e la prevenzione, soprattutto attraverso un adeguato trattamento nutrizionale, sono gli strumenti fondamentali per offrire le cure più efficaci e migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro careviger, con un risparmio di costi sociali ed economici per tutta la comunità.

“Accanto alle terapie farmacologiche oggi disponibili è essenziale abbinare una adeguata terapia dietetico-nutrizionale (TDN): è solo dal connubio di questi due elementi, nonché dal lavoro sinergico tra nefrologi e dietisti/nutrizionisti, che può essere implementata una strategia in grado rallentare significativamente la progressione della malattia ed evitare la dialisi – commenta Massimo Morosetti, Presidente FIR – Fondazione Italiana Rene. La dieta ipoproteica controlla i sintomi degli stadi avanzati e contribuisce a ritardare l’ingresso in dialisi. Le diete per queste condizioni devono essere personalizzate sui singoli casi, tenere conto delle patologie associate”.

6 Marzo 2024
di intermedianews
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Oblio oncologico, in arrivo i decreti attuativi della legge

Nuovo passo avanti per la legge sull’oblio oncologico, approvata lo scorso dicembre. I decreti attuativi, indispensabili per l’applicazione e la definizione delle nuove norme, sono infatti in dirittura d’arrivo. Lo ha annunciato ieri il presidente della Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), Saverio Cinieri.

“La legge è stata approvata – ha affermato Cinieri – ma mancavano i decreti attuativi. Ora sono imminenti e questo consentirà di dare piena applicazione alle nuove norme grazie alle quali i pazienti guariti da un tumore si vedono finalmente riconosciuto il diritto di non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione di malato oncologico, con ricadute importanti nella vita quotidiana”. Una legge “di civiltà – ha aggiunto il direttore della Comunicazione Aiom, Mauro Boldrini – che era attesa da anni in Italia, mentre in molti altri Paesi è già da tempo una realtà”.